Il matrimonio è la tomba dell'amore, recita cinico l'adagio. E della carriera, avranno gracchiato ferocemente alla Jive Records, la casa discografica che ha scoperto il pulcino-teen Britney Spears from Kentwood, Louisiana, nella nursery Disney del Mickey Mouse Club e l'ha fatta diventare una gallina dalle uova d'oro che ha fruttato in meno di una decade -da “..baby, one more time” del '98 a “My Prerogative”, il greatest hits del 2004- una novantina di milioni di copie vendute nel mondo. E contratti pubblicitari, esclusive sulla stampa, tour billionari, bamboline a sua immagine e somiglianza, profumi, ricchi premi e cotillons, tutti sulle pur atletiche spalle di un'adolescente ideale paradigma dell'homecoming queen americana, bionda, provincialotta, dalle disastrose mise, grande entertainer dalla voce men che mediocre. Perfetta erede di Louise Veronica Ciccone detta Madonna, e creata e assemblata appositamente per seguirne la strepitosa carriera sin dalla tenera età di diciassette anni: alla luce dell'ultimo biennio, evidentemente qualcosa nel meccanismo dev'essersi inceppato.
A ottobre 2004 si sposa con Kevin Federline, a settembre 2005 nasce Sean Preston Federline, a settembre 2006 è la volta di Jayden James Federline, nel novembre dello stesso anno Britney chiede il divorzio. Si dà alla vita sregolata, esce con Paris e Lindsay, alcool e droghe, guida in stato di ebrezza, lievita di peso, si rapa a zero, in rehab urla di essere l'Anticristo, smette di usare la biancheria intima e come ovvio le levano la custodia dei figli.Tra i media che una volta la osannavano, oggi praticamente nessuno si è tirato indietro nel sanguinario gioco al massacro, nella planetaria opera di demolizione della Spears, e manca solo che Vespa le dedichi una puntata di Porta a Porta con tanto di plastico della clinica “Promises” dove la divetta era in ricovero fino a qualche mese fa (ma magari il buon Bruno le ha dedicato un capitolo del suo libro/strenna sulle donne delle politica, tra Donna Rachele e Veronica Berlusconi, e io lo ignoro).
Certo, proseguendo per adagi, chi è causa del suo mal pianga se stesso, e Britney pare non faccia nulla per uscire dalla melma in cui sta sguazzando (affogando?). L'unica sua possibilità di risalire la china è a questo punto la musica, e “
Blackout”, il suo quinto album di studio appena uscito in tutto il mondo, sarebbe pure un prodotto pop più che buono. Peccato che l'immagine -principio fondamentale nella pop culture- sia ancora un disastro: non solo ai VMA's l'esibizione che doveva segnare il suo grande ritorno sulle scene è stata una catastrofe assoluta,
ma il video che accompagna il primo singolo è un assurdo delirio del nulla, basato su una Britney fuori forma e tempo che gira attorno a un palo da lapdancer. E così per quattro minuti fila.
Un dispiacere, perchè “Gimme More”, prodotta da Nate “Danja” Hills è un bel pezzo da dancefloor, ritmo martellante, ritornello da cui è difficile scappare, e che infatti ha già avuto un buon riscontro nelle classifiche digitali di iTunes e nelle airplay mondiali. Ora il rischio è che “Blackout” non riceva le attenzioni che si meriterebbe schiacciato dal gossip e dai fianchi larghi della Brit.
Uno spreco, chè nella rispettabile lista di producers all'album troviamo il duo Bloodshy e Avant (gli stessi di “Toxic”, forse l'unico pezzo della Spears che mise d'accordo tutti, dai fans agli alternative), Freesha e Kara DioGuardi (già con Kelly Clarkson), T-pain, Keri Hilson e quel Danja pupillo di Timbaland e alle origini del successo degli ultimi album di Nelly Furtado e Justin Timberlake. Risultato: un riuscito -ma non perfetto- assemblaggio di suoni elettronici, sintetizzatori e voci sintetiche, praticamente impossibile da portare live su un palco (ma d'altronde, la Spears non è mai stata tipa da disdegnare il playback), sicuramente godibile sparato a palla nei club.
Dodici tracce, echi anni '80 e '90 -in “Heaven” ricorda “I feel love” di Donna Summer, in “Everybody” (pezzo presente solo nella tracklist inglese e giapponese) campiona i sempiterni Eurithmics di “Sweet dreams”-, sospiri e ammiccamenti ansimanti -praticamente ovunque, come nel prossimo singolo “Break the Ice”-, lampi di genio -in “Hot as Ice” pare Alvin and The Chipmunks, ma il beat è micidiale-, banalità pop -in “Radar” finisce canticchiando dadadada..-, e pure una parentesi agrodolce -nell'ottima “Piece of me” satireggia blandamente su un pubblico che ha sezionato la shameless Britney, “Mrs American Dream since i was seventeen... rich & famous... too fat and too thin”. Il tutto da ballare. Britney, fai la brava che forse (forse) è la volta buona.
Source: XBooklet Images: